Il Museo


Il museo di Rodoretto “La Meizoun de notri donn”

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Un pò di storia
Il nucleo originario del Museo di Rodoretto risale all’estate del 1973, quando, per iniziativa dell’insegnante Elena Breusa Viglielmo, un gruppo di rodorine, con l’apporto generoso di tutta la popolazione, raccolse un buon numero degli oggetti oggi esposti in quello che era l’edificio della scuola elementare della Villa. Lo scopo era di arricchire con un contributo originale la festa patronale di Rodoretto. La cosa fu accolta con favore, tanto che se ne occuparono anche alcuni giornali, sicché il maestro Enzo Tron ritenne opportuno trasformare l’esposizione in un Museo permanente, assumendosi personalmente il carico dell’organizzazione del materiale e della guida nelle visite. Entrato in seguito, quasi naturalmente, a far parte della serie dei musei valdesi, il nostro ha potuto, nel 1981, annettersi le tre stanze del piano superiore, prima inagibili, riattarle con l’aiuto di un contributo finanziario della Regione e dare così ai materiali una diversa e più razionale distribuzione. I pezzi che ornano il Museo sono oggi più di cento; un numero modesto in verità e che rispetta solo in parte la realtà contadina e montanara di ieri. Ma bisogna subito precisare che esso non è sorto con intenti di completezza (ammesso che si possa tendere a questa meta: quali sono gli oggetti da museo?), né lo avrebbe potuto, per molte ragioni, fra cui l’esiguità dello spazio disponibile e la mancanza dei mezzi economici che un’iniziativa più ambiziosa avrebbe richiesto. Nato un po’ casualmente e affidato alle cure disinteressate di persone del luogo che quegli oggetti hanno usato o comunque conosciuto in un passato abbastanza recente – un passato che oggi è stato in gran parte spazzato via dalla corsa frenetica verso il fondovalle industrializzato che ha in pochi anni mutati i modi di vita e spopolato il vallone – il Museo si è infatti arricchito a poco a poco di quel tanto che si è riusciti a salvare dall’incuria e dall’abbandono e anche dalla rapacità degli antiquari e dei ladri”. Ulteriori reperti, offerti da donatori con- vinti della bontà di questa operazione, vanno comunque aggiungendosi via via, cosicché l’inventario è in continuo arricchimento. La raccolta manterrà in ogni modo il suo carattere locale, senza d’altra parte indulgere troppo alla preoccupazione di evitare doppioni con i musei delle valli vicine, di Prali in particolare: a chi sappia osservare, non sfugge l’originalità di ogni singolo oggetto, come avviene per ogni prodotto artigianale, che sempre conserva una personalità propria, irripetibile. Le finalità del Museo, essendo naturalmente esclusa qualsiasi mitizzazione o rimpianto astorici del passato – che può essere considerato in questa prospettiva solo da chi non ha, né ha avuto, alcun rapporto autentico con questo mondo – sono semplici ma, crediamo, importanti. Un museo è anzitutto un luogo in cui all’oggetto viene garantita la conservazione, ma esso ha come obiettivo precipuo di documentare, di informare il visitatore sui modi di vita di ieri e di consentire di scorgere nelle tracce del passato la linea di continuità che unisce quella realtà a questa, che stiamo vivendo. La raccolta si pone dunque come servizio sociale, di cui possono giovarsi in particolare, oltre agli studiosi e ai semplici curiosi, le scolaresche, che ignorano oggi molta parte delle loro tradizioni, a cominciare dal nome degli strumenti e delle operazioni connesse all’uso che i loro genitori o nonni ne fecero, in quanto tagliate fuori da quel contesto culturale, perché già nate nel piano o per il silenzio degli stessi genitori, convinti di evitare loro, apotropaicamente, la fatica e la durezza del lavoro dei campi evitando di parlarne. L’abbandono frequentissimo, nei rapporti con i figli, del dialetto che ha espresso quel mondo, ne è la prova più è evidente: l’intenzione dichiarata di volerli così favorire nell’apprendimento dell’italiano scolastico è, come si sa, una ingenua copertura. È pertanto auspicabile che, opportuna- mente guidati, gli alunni possano trovare in questo strumento di informazione l’occasione per una riflessione che li porti ad affrontare in maniera più consapevole il domani, conoscendo le radici che li alimentano, e sapendo d’altra parte evitare anche le sterili e mistificatorie idealizzazioni del passato, non rare purtroppo, nella coscienza che ciò che è stato non si ripeterà ma non deve e non può essere ignorato senza compromettere la capacità di ognuno di impostare in modo lucido ed equilibrato il proprio futuro, che ne è la continuazione, lo sviluppo. Ma riteniamo che dal Museo possano giovarsi anche i genitori di quei ragazzi, per rivivere momenti della loro vita tra- scorsa che questi strumenti hanno accompagnato e riannodare con il presente quel legame che non di rado si è voluto frettolosamente spezzare con un rifiuto che trova qualche giustificazione sul piano psicologico ma che più spesso è solo il risultato della pressione esercitata dall’ideologia consumistica dominante. (Fonte: “Museo di Rodoretto” Musei della Valli Valdesi)

“La Meizoun de notri donn”
Questo è stato il nome scelto per il museo, in quanto non si tratta di una semplice esposizione statica di oggetti ed utensili del passato, ma è nato cercando di ricreare degli ambienti di vita e come tale in continuo divenire e trasformarsi ………….
Attualmente il Museo è strutturato su tre piani. (La stalla per il momento non ancora aperta al pubblico, perchè ancora da terminare).
Interessante per gli adulti, che ritrovano oggetti ormai dimenticati o dei quali non conoscevano l’esistenza, lo è ancora di più per giovani e bambini, sopratutto a livello didattico.
Il suo inteesse non termina tra le mura del museo vero e proprio, ma continua anche all’esterno, dove attualità e tradizione convivono ancora a stretto contatto.